Numerosi studi e ricerche hanno indagato sulle origini e l'evoluzione del costume femminile di Scanno ed evidenziano l'interesse che questo originale abbigliamento ha sempre destato negli antropologi e negli studiosi. 
Questo straordinario paese adagiato su uno sperone di roccia lontano da ogni importante via di comunicazione e perciò poco soggetto a influenze e pressioni esterne. 
Proprio a causa di questo isolamento il modo di vestire delle donne di Scanno, non  potendosi confrontare con quello di altri paesi, prese a evolversi in maniera autonoma, senza modelli a cui ispirarsi.
Si ebbe così una gonna sempre più ricca e voluminosa di panno pesantemente lavorato in pieghe strettissime che cadono perpendicolarmente al corpo allungandosi fino alle calcagna. E' confezionata con diciotto metri di stoffa, pesa quindici chili ed è impreziosita all'interno del bordo inferiore da una striscia di pannolana rosso piuttosto leggero alta non più di dieci centimetri, la pedèra, che la tutela dalla polvere e dal fango. 
L'attuale costume prevede un solo tipo di gonna, quello di panno verde scuro tessuto e tinto in paese, mentre fino agli ultimi anni del Settecento  (periodo in cui il costume cominciò a subire delle modificazioni rimarchevoli) le gonne erano di colore diverso e non è improbabile, anche sedi difficile dimostrazione, che il colore e il tipo di stoffa adoperati stessero a indicare il ceto e la condizione sociale di chi indossava. 
Ju cummudene (il corpetto) si differenzia da quelli dei paesi limitrofi oltre che per il tessuto, che è sempre di panno, anche per a ricchezza delle maniche che sono molto larghe e che si restringono in minutissime pieghe ai polsi e all'attaccatura delle spalle. 
Si allaccia sul davanti con un’unica fila di bottoni che termina in un’inattesa bottoniera, la buttunera a triangolo rovesciato corredata di sei bottoni posti in doppio ordine. 
Nel costume festivo i bottoni sono d’oro e d’argento mentre in quello giornaliero sono di osso. La pesantezza e la rigidità del tessuto di cui è fatto, nonché l’esigenza tutta femminile di avere una vita stretta e snella, costringano questo elegante giacchetto a una forma appuntita decisamente originale e forse unica. 
E' guarnito inoltre da un’orlatura di seta che ne ingentilisce la linea donandogli una fattezza raffinata e sobria. 
Nella svasatura del collo, infine, si affaccia una gorgiera, la scolla, merletto di squisita grazia e levità lavorato al tombolo.
La mandera (il grembiule) è di autentico broccato nel costume festivo, con variazioni di colore che vanno dal bianco, al giallo pallido, al cilestrino, ed è spesso traversata da fili d’oro e d’argento.
Il costume giornaliero, invece, ha una mandera di lana molto leggera e raffinata dai colori non appariscenti anche se ricercati.
Ju cappellitte (il cappellino o cappelletto), la parte del costume che più ha incuriosito e impegnato gli studiosi, è, come inequivocabilmente dice il nome, un piccolo cappello composto da tre elementi essenziali: ju viulitte, la tocca e ju fasciatore. Ju viulitte è un piccolo, preziosissimo velo tessuto con fili di seta, d’argento e d’oro che le donne di Scanno portavano legato alla testa come un qualsiasi, comune fazzoletto. 
Fu negli ultimi anni del Settecento che le ragazze, nell’intento di mostrare e valorizzare il loro raro indumento, presero ad annodarlo in una maniera nuova e diversa sollevandolo dal capo e tenendolo rigido con una fodera spessa e dura: la tocca. 
Aggiunsero poi, per aumentarne la leggiadria. una fascia di seta azzurra, ju fasciatore, che ricadendo vezzosamente sulle spalle arricchiva ancor di più questo nuovo capo di abbigliamento che chiamarono subito il "piccolo cappello": ju cappellitte. 
Nel volgere degli anni si è giunti con piccoli, naturali ritocchi all’attuale forma del copricapo del costume femminile di Scanno, tanto ammirato. 
La ‘ngappatura ( il cappellino dei giorni feriali che deriva il suo nome dal latino "cappa" e, quindi, da "cappello"), è formata da un fasciatore di stoffa non pesante di lana nera e da una tocca di seta bianca che ne ingentilisce la foggia. Con l‘adozione del cappellitte e della ‘ngappatura, cadde in disuso la rezzola, a rete in maglie di seta, intessuta anch’essa di fili d’oro e d’argento, che raccoglieva, tutelandoli dal vento, i capelli delle donne di Scanno. 
Nacquero allora i "lacci”  variopinti e preziosi cordoncini di seta che, avvolti a spirale alle trecce, coronano il viso in un alone di colori sorreggendo nello stesso tempo con eleganza il leggiadro cappellitte. 
I lacci acquisiranno poi un loro linguaggio e saranno rossi nella festa del protettore Sant'Eustachio, azzurri nella festa della Madonna delle Grazie e marroni in quella del Carmine. 
A Natale saranno variopinti e sgargianti mentre in caso di lutto stretto saranno neri. Il mezzo lutto sarà ricordato con lacci viola. All’amore sarà riservato il colore rosso vivo e per il giorno delle nozze la sposina aprirà il catenaccio con un immacolato paio di lacci bianchi.
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Il costume femminile, Marco Notarmuzi
Scanno Guida Storico-artistica alla città e dintorni
CARSA Ed. pag.82-83
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